Damien Hirst e la capacità di far parlare di sè
Treasure from the wreck of the unbelievable è il titolo della mostra di Damien Hirst aperta fino a dicembre. Si tratta di una mostra molto particolare per varie ragioni. Anzi tutto per l’area espositiva. La mostra occupa infatti sia Palazzo Grassi, sia Punta della Dogana. In pratica l’intera area della fondazione Pinault a Venezia. In secondo luogo Hirst è un artista che ha sempre fatto parlare di sé. Lo dimostra il fatto che questo evento ha avuto una grandissima copertura mediatica. Tanti ne hanno scritto e parlato, chi bene, chi male, ma la cosa migliore è vivere quest’esperienza di persona.
Scatta le foto, scatta le foto
Ho preferito cominciare la visita con Palazzo Grassi, dove sono esposte la maggior parte delle opere. All’entrata si è subito assaliti dalla grandiosità dell’enorme statua posta nella corte coperta. È una scultura imponente. Ci si muove tra le varie stanze, passando dallo stile greco, a uno stile antico-egitto, a uno più pop. Tutto è ricoperto di finte incrostazioni marine. Tutto è un po’ volutamente rovinato, volutamente invecchiato. Tra una stanza e l’altra può capitare di trovare foto o filmati del finto ritrovamento sottomarino. Tutto è finto, ma alla fine si ha l’impressione che sia vero. Scatta le foto, scatta le foto.
Ubriaco di finto
Usciti da Palazzo Grassi ci si sente un po’ strani, forse storditi, ma con la voglia di vedere come va a finire a Punta della Dogana. Anche qui scatta le foto, scatta le foto. Mi muovo tra le opere di Hirst assetato di foto. Immagini su immagini, dettagli, panoramiche. Chiudo la bocca alla mia coscienza, dicendomi che lo faccio per lavoro. Ma non è così. Sono ebbro di finto. Tutto quello che vedo attorno a me è finto, costruito a tavolino. È l’essenza dell’esposizione in fondo. Una grande burla come la “Merda d’artista” di Manzoni.
Distacco dalla realtà
Finalmente esco dalla mostra. Mi sento strano. Fuori da Punta della Dogana lo sguardo cade subito sull’imponente basilica della Salute. Improvvisamente sento un irrefrenabile bisogno di entrare in quella chiesa per vedere qualcosa di autentico. Ma le statue, le tele, tutte le pietre mi sembrano finte. Un enorme simulacro costruito ad uso e consumo dei turisti e per un po’ mi sento come fossi in un sogno. È sintomatico che una mostra simile, un elogio del finto, sia stata presentata proprio a Venezia. In una città sempre più finta e impersonale. Sempre più appannaggio di turisti dalle tasche gonfie.