11 novembre: quando l' indie svegliò il Veneto - itVenezia

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11 novembre: quando l’ indie svegliò il Veneto

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Garrincha loves Chiapas

11 novembre 2017: Centro Sociale Rivolta (Marghera, Ve) – una maratona indie.
10 band indie-rock a sostegno delle comunità zapatiste: nasce tutto da un progetto iniziato lo scorso anno da Carota de “Lo Stato Sociale” e Matteo Costa Romagnoli, fondatore di “Garrincha Dischi“.
L’iniziativa: dare la possibilità agli artisti di visitare le terre tra il Messico e il Guatemala, aiutare economicamente le comunità di terremotati e continuare uno scambio culturale che possa dar vita al volume 2 dell’”Arte al servicio del pueblo”.
L’evento ha visto succedersi sui palchi dieci delle band più famose del panorama indie e rock italiano: Lo Stato Sociale, i Management del Dolore Post-Operatorio, EDO e i Bucanieri, I Camillas, Brace, Espana Circo Este, IO e la TIGRE, Botanici, Punkreas.

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la locandina dell’evento

Per l’occasione abbiamo intervistato i Management del Dolore Post-Operatorio, Edo e i Bucanieri e Lo Stato Sociale, sugli argomenti più differenti.

Arrivo: 16:00, tre ore prima dell’apertura dei cancelli.

Il posto è freddo e spettrale -ma non spettrale come lo sarà alle 5 del mattino-. Il cortile pullula di uno staff serio e indaffarato, con l’idea addosso che da lì a poche ore avrebbe dovuto gestire centinaia di giovani e adulti accorsi a sostenere l’iniziativa e a godersi una nottata di balli e musica.
Cerchiamo di stare il meno possibile in mezzo e chiediamo in giro, sentendoci un po’ fuori luogo in mezzo a tutto quel da fare.

Management del Dolore Post-Operatorio

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I Management del Dolore Post-Operatorio

Ci fanno aspettare qualche minuto e sbuca dal backstage un Luca Romagnoli (33 anni, cantante, a sinistra nella foto) imbacuccato: cappuccio, occhiali, sciarpa, mani in tasca.
Più facile del previsto.

Gli tendiamo la mano, lui ci saluta con due baci.
“Mi sono appena svegliato” ci dice sorridente, e ci invita ad entrare nel furgone della band, incontaminato dalla musica alta dei vari soundcheck.
Offre caramelle, cioccolatini e cingomme, ne mastica una e comincia a rispondere a manetta ad ogni domanda.

Ribadisce almeno una dozzina di volte di essere ateo, ma non nasconde la sua ammirazione per Gesù, che considera un “rivoluzionario che ha rivalutato e messo in primo piano gli emarginati“;

ci racconta del suo pensiero costante della morte “quando sono sul palco non ho paura di morire, la performance è una sorta di esorcismo, un momento in cui confluisce tutto quello che voglio essere“,

e ammette di non aver mai e poi mai voluto i propri genitori ai suoi concerti: “Mai, mai e poi mai. Mai voluti.”

Il pubblico dagli esordi è naturalmente aumentato. Da quando abbiamo scritto “Naufragando” ci sono più ragazze, e questo ci rende molto contenti. Solo che non posso fare più surf tra la folla perché se le prime file sono ragazze non mi posso buttare, non mi reggerebbero, è un casino.

La musica è libertà

Le loro canzoni sono manifesti di libertà: dichiara che il brano “Il mio corpo” può e deve essere visto come brano esaustivo sulla libertà assoluta, che è naturale che uomini e donne  abbiano riguardo al sesso o a qualsivoglia argomento.
“(La libertà) è un argomento di cui dobbiamo parlare, perché ci sono ancora persone ferme nel Medioevo a cui bisogna continuamente ripetere che ognuno è libero di fare quello che gli pare. Si parla solo ed esclusivamente di libertà, anche se per me solo discuterne o scriverci sopra mi fa sentire idiota, perché dovrebbero essere pensieri normali per tutti”.

“Sui social la nostra debolezza è palese -e commovente-.”

Ci rivela il suo odio per i social: è scorrendo tutte le mattine nella home che avverte il “vuoto cosmico” delle persone, affette da dipendenza di likes:

“il voler ricevere consenso dagli altri fa in modo che le persone non esprimano più le proprie opinioni controcorrente. Sui social vige la legge del buonismo”. Ma precisa “non resisterei un giorno senza cellulare“.

Cosa commuove Luca Romagnoli?

Tutti coloro che nella storia hanno seguito un ideale a tutti i costi, fino a morirne. Come non crede nell’esistenza di Dio, non crede nemmeno nell’esistenza di persone che nel ventunesimo secolo possano fare cose del genere.
Sono queste, come è lui stesso a definirle, grandi esplosioni di umanità, a commuoverlo, esplosioni che ormai non esistono più. La causa? Il denaro.
“I soldi comprano tutti. Coi soldi si comprano le idee. Nessuno rifiuterebbe una cifra grandissima.”
-Tu?
Nemmeno io.

Il suo rapporto con la scuola non è tra i migliori. E’ convinto che studiare sia la cosa più importante del mondo, ma crede anche che certi luoghi istituzionali di educazione tendano all’omologazione. “Vengono insegnate nozioni e competizione. L’emozione di imparare, quella ad esempio che hanno i bambini con la loro curiosità fine a sè stessa, non la vedo più in nessuno, e spero di sbagliarmi.”

EDO e i Bucanieri

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EDO e i Bucanieri

Salutiamo Luca e incontriamo Edoardo Cremonese, di EDO e i Bucanieri, band indie-rock (nella foto col maglione blu). E’ padovano, a Venezia ha passato parte della sua adolescenza studiando pittura presso l’Accademia di Belle Arti prima di trasferirsi a Milano, dove attualmente risiede.
Classe 1986, è un ragazzo estremamente educato e disponibile, con un viso pulito che ospita due occhi profondi e riflessivi. E’ uno di quelle persone che ti danno l’impressione, qualsiasi cosa dicano, che sta filando tutto liscio. Sempre. Mette sicurezza, mantenendo quel quid di irraggiungibilità e stoicismo.

Ci invita ad aspettare vicino al palco la fine del loro soundcheck per poi incominciare l’intervista.
Nonostante fosse solo una prova, canta e suona in maniera impeccabile, se la sbriga in poco tempo e con un salto scende dal palco e ci raggiunge.
Lo seguiamo nel backstage, l’intervista comincia.

Agli esordi veniva considerato come un menestrello che sparge parole e rime al suo passaggio, ma adesso?

“Ora, come dire, parlo di meno e suono di più.”

Che rapporto hai con Padova, Venezia e Milano?

“Ottimo con tutte e tre, e diverso con tutte e tre.
Padova è la mia città natale e gli voglio troppo bene. A volte però ci sono certi atteggiamenti che non apprezzo, è come se legittimassero i luoghi comuni sui veneti. Ma comunque è una città che adoro e spesso mi manca.
A Venezia ho studiato, è una città stupenda, bellissima, magica e unica al mondo: è un orgoglio per me esserci nato a pochi chilometri di distanza.
Milano: inizialmente non la capivo. E’ stata una cosa graduale, e fondamentali sono stati gli stimoli e le opportunità che offre nel mondo della musica.”

Indie !

Il suo rapporto con la musica e l’indie è affascinante e curioso: “spesso nemmeno mi rendo conto dei motivi per cui scrivo una canzone. E’ un processo di ricostruzione che viene dopo, in cui mi accorgo dei motivi che mi hanno spinto a farlo”

La veridicità o la fantasia di temi o soggetti per lui fa poca differenza

“dal momento in cui rilascio un brano, che faccia cinque o mille ascolti, non è già più mio. Le cose che ho scritto si distaccano un po’ da me, prendono un’altra forma. Ed è bello.”

Dopo Edo ci andiamo a godere qualche concerto. Suona Brace (Davide Rastelli), un cantautore straordinario, suonano i Camillas, altrettanto geniali oltre che performer schietti e genuini.
In centinaia tra giovani e adulti si mescolano in canti e balli, uniti da passioni e ideali. L’atmosfera è familiare, ci si sente quasi in colpa a non partecipare, a non stringere amicizie e a non prendere per braccetto qualcuno a caso nella folla per ballare.

Lo Stato Sociale

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Lo Stato Sociale

A fine concerti ci ritroviamo di nuovo nei divanetti del backstage a scambiare quattro chiacchiere con Lodovico Guenzi, detto Lodo (in foto col maglione rosso) , de Lo Stato Sociale, tra i più famosi, se non il più famoso, tra i gruppi indie italiani. Ha dei sorprendenti lunghi baffi biondi e una parlantina carismatica e sagace. Usa spesso un intercalare tutto suo, cioè “No?“, che ho preferito non inserire per praticità di lettura, ma immaginatevi un mucchio di “No?” sparsi qua e là.

Cosa credi sia cambiato rispetto agli esordi del pubblico?

“Eravamo più ingenui prima, anche riguardo l’amore. Ora ci siamo, per così dire, modernizzati.”

“Dovremmo tornare ad essere un problema.”

Noi comuni mortali, ingenuamente credevamo che nel mondo della fama i cosiddetti “haters” non fossero visti di buon grado. Ma ci sbagliavamo. O almeno, non è così per Lo Stato Sociale:
“Purtroppo adesso ci odiano molto di meno. Vuol dire che facciamo cose meno rilevanti. Prima ci odiavano di più, si sono abituati.
Credo che l’odio sia una questione temporale. Si pensa che le band emergenti abbiano vita breve, e quindi nel nostro caso ci attaccavano ogni giorno per farci, diciamo, morire prima, ma dal momento in cui abbiamo continuato negli anni coi dischi, è come se fossimo passati dall’essere un problema all’essere una realtà.
Dovremmo tornare ad essere un problema.”

Lo Stato Sociale, come si intuisce dal nome, ha un’ideologia politica molto chiara e molto palesata: viene spontaneo chiedersi se in un paese come l’Italia, a un gruppo così risoluto fossero state precluse delle opportunità:
“Le cose che ti sono precluse non le saprai mai fino in fondo perché c’è sempre del pudore. Nessuno verrà mai a dirci di no perché siamo troppo espliciti. In alcune occasioni forse avremmo potuto essere più radicali noi, più provocatori.
Forse abbiamo avuto qualche quarto d’ora di timidezza. “

Riguardo l’andamento della band rispetto alla società circostante?

“Siamo indie, quindi indipendenti, ma non è che siamo eremiti fuori dal mondo. Viviamo e subiamo i cambiamenti della società: il mercato esiste e all’interno di questo gioco devi capire come poter ribaltare quello che puoi. Dal mio punto di vista c’è qualcosa di noi che si è perso dal momento in cui abbiamo messo un biglietto ai concerti.”

Il loro concerto ha infuocato gli animi di tutti. C’era persino gente che faceva dirette col proprio cellulare per condividere il momento con gli sfortunati non presenti.
Lo Stato Sociale non si limita ad essere una band di musicisti indie che suonano e cantano, sono complici di una sintonia che manifestano sbizzarrendosi sul palco in nome di amori e ideali, invitando tutti i presenti a ballare a ritmo della loro pazzesca gioia di vivere.

Insomma, avete presente il film di Stanley Kubrick, “Eyes Wide Shut“, in cui Tom Cruise si ritrova inaspettatamente a vivere una delle notti più folli e irragionevoli di sempre?
Magari non in modo così estremo, ma la mia notte è stata così, una notte in cui dal nulla mi sono ritrovata al tavolo con alcuni dei miei artisti preferiti, che si sono rivelati essere come prima cosa persone ordinarie nella loro eccezionalità.

Un ringraziamento particolare va a Jambo Praticò (Garrincha Dischi) per aver permesso e facilitato il tutto, e alla mia collega, ma prima di tutto amica, Clara Campagnolo.

 

11 novembre: quando l’ indie svegliò il Veneto ultima modifica: 2017-11-17T10:35:06+01:00 da Olimpia Peroni

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