Dai Pitura Freska a Sir Oliver Skardy: il reggae è di casa a Venezia

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Dai Pitura Freska a Sir Oliver Skardy: il reggae è ancora di casa a Venezia

Un'immagine di Skardy suo video

I Pitura Freska, insieme alle Orme, sono stati senza dubbio uno dei più originali gruppi del  Veneziano, riuscendo ad ottenere un consenso di critica a livello nazionale ed arrivando anche a numeri notevoli di album venduti. Il motivo della loro importanza nel panorama nazionale è duplice: hanno sdoganato l’uso del dialetto veneziano nelle “canzonette” e fatto aprire la porta ai ritmi giamaicani del reggae anche in luoghi più tradizionalisti come il festival di Sanremo.
Sir Oliver Skardy, nome d’arte di Gaetano Scardicchio, nato a Venezia nel 1959, è stato il fondatore dei Pitura Freska, all’inizio degli anni Ottanta, insieme al bassista Francesco Ciuke Casucci, scomparso nel 2008. Il successo è anche merito dei testi in dialetto di Skardy, ironico narratore della venezianità e non solo, delle musiche del chitarrista Cristiano Verardo e degli arrangiamenti di Marco Furio Forieri (seconda voce e sassofono). Look coloratissimi  da vero rasta giamaicano, con tanto di lunghi dread e un modo di fare sempre sopra le righe, Skardy è stato il carismatico e stralunato “front man” dei Pitura Freska.

Skardy Duri
I Pitura Freska sul cd “Duri i banchi” (Massimo Rana Photo)

Il loro primo album ufficiale, “Na bruta banda” del 1991, contiene i cavalli di battaglia “Pin Floi” e “Marghera”. L’anno successivo uscì “Duri i banchi” con “Picinin” e “Co devento geoso”, canzoni che vennero eseguite dagli stessi autori nel corso di un originalissimo allestimento, in versione musical, del Campiello di Carlo Goldoni, durante il carnevale di Venezia del 1993. Uno spettacolo originale ed unico, che mescolava la tradizione del teatro goldoniano all’innovazione del reggae. Fu replicato più volte al teatro Goldoni, allestito dal regista Alessandro Bressanello e vide i Pitura cimentarsi anche in veste di attori.
E’ invece del 1997 la loro partecipazione al Festival di Sanremo, un’edizione che verrà ricordata, oltre che per la vittoria delle meteore Jalisse, anche per la loro provocatoria e antirazzista “Papa nero”. E poco importa se alla fine arrivarono solo al sedicesimo posto della classifica.

La seconda vita musicale di sir Oliver Skardy

In seguito allo scioglimento del gruppo, nel 2002, alcuni dei componenti intrapresero carriere soliste, come Marco Forieri con gli Ska-J. La formazione ska-jazz delle “ascelle” ha realizzato diversi album di ottima fattura e continua a portare in tour anche fuori dall’Italia i suoi ritmi esotici ed arrembanti. Dopo che si allontanò dai Pitura, anche Ciuke si fece la sua band, che chiamò “I Aquarasa”, in ironica contrapposizione alla pittura fresca… Lo stesso Skardy si rilanciò a sua volta come solista, arrivando ad incidere nel 2004 il suo primo album come sir Oliver, “Grande Bidello”. In tempi recenti ha collaborato anche con il rapper Herman Medrano e il cantautore Vinicio Capossela.

Sir Oliver Skardy, Cominciamo con una battuta: la famiglia reale inglese non le ha mai fatto storie per l’uso del titolo “Sir”?

(ride) Assolutamente no, perchè si capisce che si tratta di una cosa scherzosa. Skardy è il diminutivo del mio cognome, che è Scardicchio. M;entre per il nome del gruppo, quando l’abbiamo formato con Ciuke e gli altri,  al vignettista Sandro Maso (Ciaci el Kinder) venne l’idea da una comica di Stanlio e Ollio (che ricordavano un po’ Ciuke e me): in una loro comica c’era un cartello “Wet paint”, poi tradotto in Pitura Freska.       

Sono passati oltre 40 anni da quando suonavate alle feste di fine anno nelle scuole di Mestre, sembra ieri o gli anni pesano anche per te? (dico “anche” perchè siamo coetanei!)

Vedo che, rispetto ad una volta, non c’è più niente, nel senso che i telefonini hanno sostituito il mondo della musica. Se guardiamo bene, quando c’era ancora la Musica, questa aveva la funzione che ha oggi internet. Nel “mondo civile” succedevano cose positive, c’erano proposte politiche, c’era una filosofia più o meno comune. Da quando è arrivato internet la musica ha cominciato a scendere di livello e si è impiantato un nuovo tipo di pensiero, che non ha quasi più niente a che fare con quello di prima. Se prima la filosofia della musica era qualcosa di costruttivo, con una visione del futuro, quella tecnologica di oggi ti risolve qualche problema, ma ti complica anche la vita. Non ci ha migliorato niente, se non nella velocità “burocratica”. Quindi purtroppo il mondo culturale di oggi è in decadenza, rispetto a quello di cinquant’anni fa.  

Meglio parlare dei Pitura Freska, allora… Qual è stato il segreto del vostro successo, la commistione tra la musica reggae e il dialetto veneziano?

Forse l’ostinazione, nel senso che nessuno ci credeva, nessuno avrebbe mai abbinato un genere come il reggae alla cultura veneziana. Ho fatto un esperimento e mi è piaciuto, anche se ho trovato difficoltà nel portarlo avanti. Ho trovato tante porte sbarrate, ma a livello popolare mi è stata data ragione, perché quando si è dimostrato che il gruppo cominciava a girare (e più avanti si andava e più raccoglievamo gente nei concerti), qualcuno ha dovuto ricredersi.           

Fra i primi a credere in voi, Elio e le Storie Tese, altro gruppo “fuori dagli schemi”, con il quale avete collaborato…

Certamente. Probabilmente gran parte del merito del successo dei Pitura Freska è dovuto anche a Elio e al suo gruppo. Questo perchè ci ha scoperto il loro produttore, Claudio Dentes, che ci ha proposto di andare a Milano a fare il disco.

Sir Oliver Skardy
Skardi in una foto del 2004 di Pasquale Modica per Photowave

E’ da poco finito il Festival di Sanremo; la vostra partecipazione del 1997 (l’anno dei Jalisse) con la canzone “Papa nero” è stata il culmine del vostro successo. Cosa ricordi quell’esperienza? 

Sanremo è una giostra molto bella. Direi che conviene provarla piuttosto che non farla. Dopodiché c’è sempre la delusione, perché vedi che bene o male il mondo della musica è sempre stato così, cioè un po’ sottostimato rispetto all’aspetto dell’immagine, dell’apparenza, della presentazione del musicista più come prodotto che come artista. In seguito ho provato a partecipare al festival anche come solista, ma mi hanno bocciato la canzone. Non so se ci tornerei, perché il festival di adesso non è lo stesso di quando ci sono stato io.
Oggi è quasi più un varietà, ti fanno fare i duetti e non tutti ci sono portati. L’ultimo l’ho “sbirciato” qualche volta in tv, ma non ho sentito una qualità simile a quella che mi aspetto, anche se devo dire che si sentono, in prevalenza, i suoni moderni della gioventù di oggi. Mi è pia Freskaciuto, per esempio, un certo Alfa, anche se lo sento come un genere di musica fin troppo leggera.           

Torniamo ai Pitura Freska, nel  2002 lo scioglimento del gruppo, perché?

E’ successo che dopo Sanremo non sapevamo più cosa fare, le avevamo provate tutte e si trattava di ricominciare tutto da capo, perchè il festival non ci aveva certo premiati. Poi non siamo più riusciti a trovare una strada comune che andasse bene a tutti. E’ stato come essere in quattro, avere un mazzo di carte e ciascuno vuole fare un gioco diverso: non puoi giocare!  

Però c’è stata un’eccezione: il concerto di carnevale nel 2008  in piazza san Marco…  ci potranno essere altre reunion dei Pitura Freska?

No, credo sia proprio un capitolo chiuso, primo perchè quella volta la proposta di suonare di nuovo insieme non partì da noi, ma dal Comune. D’altra parte anche se ce lo proponessero di nuovo, non penso che tra di noi qualcuno abbia ancora interesse a suonare insieme.

Gaetano Scardicchio è andato in pensione o fa ancora “Il grande Bidello”, che ogni tanto si vedeva all’esterno dell’istituto d’arte Guggenheim di Mestre, farsi una “rilassante sigaretta”?

Lavoro ancora, ma ora sono nella sede di Venezia e sono un “prigioniero del lavoro”, nel senso che ho l’età giusta per potermi definire “vecio”, ma siccome il lavoro è diventato una pena da scontare, non posso ancora andare in pensione. Dovrebbero mancarmi un paio d’anni, a meno che non cambino di nuovo la legge.   

Skardy Bidello
La cover di “Grande Bidello” di Sir Oliver Skardy

Comunque un po’ dell’arte del Guggenheim l’hai assorbita anche tu… insomma da dove viene il tuo talento?

 Quello che sono è grazie a tutto quello che ho passato in questi anni, questo è il risultato e non so cosa mi aspetti ancora per il futuro. Cerco ancora di suonare, di fare qualcosa. Attualmente sto componendo dei brani nuovi. Due anni fa abbiamo fatto un disco, che però non ha avuto il seguito sperato. Purtroppo siamo indipendenti, non siamo dentro al circuito più importante della musica, facciamo quello che possiamo e cerchiamo di farlo soprattutto per poterci esibire dal vivo, perchè suonare è sempre una cosa che fa bene sia a chi ascolta che a chi suona. Ora stiamo provando con la band e speriamo di riuscire ad andare a  suonare come si usava “ai sani tempi del rock”.   

Vai a vedere concerti di altri, frequenti ancora “El Bateo” o altri locali dove si fa musica?

No, faccio ben poca vita mondana, ma per esempio proprio al Vapore abbiamo suonato lo scorso 6 gennaio. E’ rimasto uno dei pochi posti in zona che propone musica dal vivo. Purtroppo oramai in molti locali si va solo per bere birra e non più per sentire musica.             

Che ne pensi delle attuali generazioni di musicisti; conosci e segui qualche giovane delle nostre parti? 

Conosco tanti musicisti, per esempio  tra gli ultimi “acquisti” che abbiamo fatto nel gruppo, ci sono tre ragazzi di 22 anni. Quindi direi di sì, c’è un futuro dal punto di vista dei musicisti. Purtroppo siamo in Italia e il mondo della musica viene totalmente ignorato, non è nemmeno considerato un lavoro. A Venezia abbiamo poi sempre avuto anche la “tradizione” negativa che i personaggi locali non vengono mai “riconosciuti” a dovere, come era accaduto anche per lo stesso Vivaldi, che ai suoi tempi molti detestavano.     

Sir Oliver Skardy, un’ultima battuta su Venezia: la città di oggi ricorda molto la confusione che descrivevi in “Pin Floi”, in occasione del concerto del 1989…

Rispetto al periodo della pandemia sicuramente c’è più gente, ma secondo me non è sempre così, anzi l’ultimo carnevale dimostra bene o male che le persone che vengono scelgono con più precisione il periodo. Andandoci tutti i giorni per lavorare vedo i turisti: il più giovane ha 50 anni. A Venezia non si vuole un turismo giovanile, piuttosto di una certa età, famiglie che alle dieci di sera vanno a dormire. 

Nota Bene: mi scuso con Skardy per aver tradotto le sue risposte dal dialetto (il cui uso è una delle sue peculiarità)  all’italiano… L’ho fatto solo per renderle comprensibili ad un pubblico più vasto possibile, sir Oliver!  

Dai Pitura Freska a Sir Oliver Skardy: il reggae è ancora di casa a Venezia ultima modifica: 2024-02-19T12:24:07+01:00 da Gigi Fincato

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