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Il grande ladro: i furti di Napoleone nella Serenissima

furti di Napoleone

Spogliare la città conquistate delle loro bellezze artistiche per donarle alla Francia era una pratica ben consolidata durante le campagne napoleoniche in Italia (e non solo). Nella nostra penisola Bonaparte e i suoi generali hanno trovato vita facile: le opere da espropriare erano moltissime e furono fatte passare come tributi di guerra. Le città sconfitte non potevano che accettare il furto, mentre a Parigi si stava via via arricchendo il cosiddetto il Musée des Monuments Français, ospitato nel Palazzo del Louvre. Anche Venezia fu preda delle razzie dell’imperatore francese. A scopo di vendetta, soprattutto. Vediamo quali furono i furti di Napoleone della Serenissima.

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Una raffigurazione di Napoleone a Venezia

I furti di Napoleone nella Serenissima: il pretesto

Il generale francese scese in Italia con chiari intenti di conquista. A Verona, però, la popolazione si rivoltò durante una settimana di scontri che furono chiamati le Pasque veronesi. Si trattò dell’insurrezione più importante tra tutte quelle che scoppiarono nel nostro Paese con l’arrivo dell’esercito francese.

Il primo giorno di rivolta, che era il Lunedì dell’Angelo, i veronesi riuscirono ad avere la meglio sui francesi e li costrinsero a scappare. Ben presto però il numero e l’addestramento di questi ultimi ebbero la meglio e la rivolta fu repressa nel sangue. Iniziata in risposa alle confische delle proprietà dei veronesi e ai tentativi di rovesciare il governo locale della città, finì con la condanna a morte dei leader della protesta e la deportazione di decine di migliaia di soldati veronesi. Oltre al pagamento di pesanti tributi in denaro e la razzia di svariate opere d’arte.

Ma cosa c’entra Venezia?

I furti di Napoleone nella Serenissima: le opere rubate

Venezia, forse perché conscia della propria inferiorità militare rispetto all’organizzatissimo e vincente esercito guidato da Napoleone, aveva dichiarato la propria neutralità rispetto all’arrivo di quest’ultimo sul territorio italiano. Le Pasque veronesi, però, furono un ottimo pretesto usato da Napoleone per gridare al tradimento. Insieme con l’affondamento di una nave francese entrata in laguna a opera dell’unica salva di cannone sparata dalla città.

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Anche il simbolo di Venezia, il Leone di San Marco, fu trafugato. Ma restituito. A differenza di altre opere d’arte.

Oltre a invadere la città (senza incontrare in realtà praticamente alcuna resistenza), le portò via alcuni dei suoi monumenti più simbolici. E in particolare, il leone di bronzo di piazza San Marco e i quattro cavalli della facciata dell’omonima basilica. Cavalli, è interessante notare, che a loro volta erano stati prelevati ai legittimi proprietari. I veneziani li avevo presi nell’ippodromo di Costantinopoli durante la 4° crociata in Terra Santa. Insieme con opere d’arte, manoscritti, vascelli e armamenti.

Questi furti costituivano una forma di tributo dei vinti al vincitore. E per questo erano scritti nero su bianco nei trattati di pace. Insieme alle tantissime altre opere prese nei vari stati italiani conquistati (solo 100 durante la Campagna d’Italia, innumerevoli dopo la sconfitta dello Stato Pontificio), anche quelle razziate a Venezia furono portate in trionfo a Parigi.

Il leone di bronzo e i cavalli di San Marco ritornarono poi a Venezia, grazie all’azione di Canova che contrattò le restituzioni con la Francia. Non tornò a casa invece il dipinto del Veronese intitolato Le nozze di Cana. L’originale è al Louvre, non lontano dalla Gioconda. A Venezia oggi c’è solo una fedele riproduzione. A essere oggetto del saccheggio anche 500 preziosi incunaboli (che sono i primi libri a stampa, prodotti a ridosso dell’invenzione di Gutenberg) e migliaia di opere d’arte, compresi quadri di Tintoretto, Tiepolo e Bellini.

I furti di Napoleone nella Serenissima: la caduta della Repubblica

Subito prima dell’arrivo di Napoleone, la Repubblica di Venezia, ormai millenaria, viveva da decenni una fase di declino. Declino territoriale per la perdita dei possedimento d’oltremare. Declino politico, con una sempre maggiore concentrazione del potere nelle mani del patriziato locale e un regime sostanzialmente conservatore e legato agli interessi latifondisti in terraferma dell’aristocrazia. Ma non declino culturale. Il Settecento ha visto veneziani famosissimi come Goldoni, Vivaldi, Tiepolo e Canaletto.

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Le Nozze di Cana, di Paolo Veronese

Le campagne di conquista di Napoleone e del suo esercito minacciarono Venezia da vicino. Con i francesi alle porte, nel 1797 il Doge e il Maggior Consiglio al posto di reagire abdicarono. E dichiararono decaduta la Repubblica. Il 1° maggio infatti, a causa dell’affondamento della nave francese, era stata dichiarata la guerra. Venezia aveva uomini e armi sufficienti per difendersi. Ma il governo decise di cedere senza colpo ferire. L’ipotesi degli storici è che speravano di salvare le proprietà terriere delle ricche famiglie aristocratiche che lo componevano. Il governo fu quindi affidato a una municipalità provvisoria, che era espressione dei francesi.

Quindi non ci fu praticamente alcuna opposizione all’entrata di Napoleone e dei suoi in città. Sia Venezia, sia i suoi territori in terraferma, sia l’Istria e la Dalmazia praticamente si consegnarono mani e piedi legati ai francesi. La Repubblica era caduta una volta per tutte.

Napoleone fece annettere Venezia all’Arciducato d’Austria. Una volta esiliato Sant’Elena, il congresso di Vienna, che rimise sul trono tutti i re e gli imperatori sconfitti da Bonaparte non restituì l’indipendenza alla Repubblica. Piuttosto la unì al Ducato di Milano e insieme andarono a formare il Regno Lombardo-Veneto, appendice italiana dell’Impero austriaco.

 

Il grande ladro: i furti di Napoleone nella Serenissima ultima modifica: 2017-04-03T13:02:32+02:00 da Giulia Gagliardi

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