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LO SAPEVI CHE MITI E LEGGENDE

Leggende veneziane – Il mistero del corpo nel pozzo

Leggende veneziane

Era il 14 giugno 1779, e in campo San Trovaso una donna si apprestava ad attingere acqua al pozzo, come ogni mattina. Quel giorno, però, il secchio non volle proprio saperne di scendere fino all’acqua. Qualcosa ostruiva il cavo della vera, laggiù, ma il buio impediva di vedere cosa fosse.

Una delle più terribili leggende veneziane

La scoperta fu raccapricciante. Dentro il pozzo c’era il busto di un uomo, con tanto di braccia attaccate, ma senza la testa. Poche ore dopo un paio di gambe fu trovato dentro un altro pozzo in fondamenta del Malcanton. In breve il fatto fece il giro della città, destando molta impressione. Ma fu nulla in confronto al mattino successivo, quando dal rio di Santa Chiara venne ripescata una testa, e verso mezzogiorno furono rinvenute delle interiora umane alle Zattere.

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Il pozzo nel campo di San Trovaso

Come espiazione per un crimine tanto orrendo, e come supplica per assicurare presto i colpevoli alla giustizia, il Governo ordinò l’esposizione per otto giorni della Beata Vergine in Basilica a San Marco, e del Santissimo in tutte le chiese cittadine. La testa del cadavere senza nome fu imbalsamata ed esposta al pubblico, allo scopo di far riconoscere il malcapitato. Nel contempo il brano di una lettera, ritrovato su un rotolino di carta col quale il morto si era acconciato i capelli, fu riprodotto tra gli articoli delle Gazzette pubbliche: in esso si poteva leggere una sigla, V.F.G.C.

Un messaggio dall’Al di là

A Este, nel padovano, una di queste Gazzette capitò tra le mani di Giovanni Cestonaro, che riconobbe i passi dello scritto come propri, e la sigla come “Vostro Fratello Giovanni Cestonaro”. Precipitatosi a Venezia, riconobbe atterrito tanto la propria lettera quanto la testa del fratello Francesco. Interrogato dai giudici, palesò i sospetti che lo stesso fratello aveva sulla moglie, Veneranda Porta, originaria di Sacile, che da tempo aveva intrecciato una tresca con Stefano Fantini, di Udine, staffiere dei Nobiluomini Dolfin alle Zattere.

Ai due rimase solo spazio per la confessione. L’omicidio era avvenuto il 12 giugno, ed il cadavere era stato sezionato e conservato in casa, in prossimità di Campiello dei Squellini, per un giorno intero. Col favore delle tenebre, i pezzi dell’uomo erano stati portati lontano dal luogo dell’uccisione, per sviare le indagini. I due intendevano sposarsi. Ma l’imponderabile era avvenuto. Quel rotolino di carta tra i ricci dell’assassinato aveva smascherato il loro mostruoso delitto.

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La pena per chi commetteva un omicidio

Delitto e castigo

Per sentenza della Quarantia Criminale i due furono decapitati il 10 gennaio 1780. Alla pari della sua vittima, Stefano Fantini fu squartato. Attribuendo la risoluzione del caso al volere della Vergine, la calle dove Veneranda Porta abitava (la cui abitazione fu invece demolita) prese da allora l’appellativo di calle de la Madona, nome con il quale è conosciuta ancora oggi.

Una leggenda dal sapore ottocentesco fa da corollario alla vicenda: secondo questa versione, Veneranda sarebbe stata condannata all’impiccagione. Al momento della lettura della sentenza, la donna avrebbe esclamato: “Per me questa sentenza non potrà mai avere luogo. Non potete impiccare una donna. Considerate l’improprietà di un tale gesto. In gonne, e appesa così in alto…” La risposta del Capo dei Dieci, spiega il racconto, fu lapidaria: “Mia cara – le disse – vorrà dire che sarà impiccata vestita dei miei pantaloni”.

Leggende veneziane – Il mistero del corpo nel pozzo ultima modifica: 2018-05-31T12:12:41+02:00 da Alberto Toso Fei

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