L'architettura moderna a Venezia, scoprendo il Novecento con Carlo Rubini

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L’architettura moderna a Venezia, scoprendo il Novecento con Carlo Rubini

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In giro per Venezia? No grazie, troppa confusione. E allora perché non riscoprire l’architettura del ‘900 a Venezia nelle zone meno frequentate? La città della Serenissima è unica per tanti motivi. Tra i quali l’avere la possibilità di  costruirsi un numero di itinerari quasi illimitato. Molti hanno provato ad inventare passeggiate alternative, come quelle alla scoperta delle grandi opere di architettura. Qui cerchiamo di dare voce a qualcuno che l’ha fatto in maniera decisamente originale, cioè non guardando troppo al passato. Si chiama Carlo Rubini, è un 67enne veneziano, per anni docente di geografia all’istituto Algarotti ed al Gritti. Ora è in pensione, ma solo come insegnante. Autore di numerosi libri a carattere ambiente e da sempre in prima fila sulle tematiche di Venezia e del suo territorio.

Vent’anni fa è stato uno dei fondatori della sezione veneziana di Trekking Italia. Un’associazione che organizza itinerari e vacanze in tutt’Italia dove si fondono passeggiate, cultura e rispetto delle natura. Lui stesso prepara e conduce percorsi alternativi alla tradizionale Venezia turistica. Per esempio nelle zone più recenti della città lagunare. Un’idea non tanto per non rimanere imbottigliati nel traffico pedonale fra calli e campielli. Ma soprattutto per scoprire che di Venezie ce ne sono tante, tutte diverse ed affascinanti. In questo caso si tratta dell’architettura a Venezia.

Carlo Rubini

Un primo piano di Carlo Rubini

Una sua idea per un giro che chiunque può fare con un po’ di attenzione e di ricerca attraverso internet di una Venezia poco conosciuta, è stata quella riguardante la città del Novecento e la sua architettura

Sì, diciamo che è una Venezia che sfugge alla caratterizzazione tipica della città. Una Venezia precedente alla caduta della Repubblica, cioè quella che tutti hanno in mente, il canale, il campiello, il ponte, la gondola. Una Venezia con spazi un po’ più larghi, che sono sorti in quest’area chiamiamola fronte occidentale, quando tutti i flussi si sono spostati verso il ponte della Libertà.

Fino a quel momento era un’area totalmente marginale. Per nulla attraversata, perché chi usciva dalla città lo faceva da altre direzioni. Poi, con quest’importante novità, sia del ponte ferroviario nel 1846 che di quello automobilistico nel 1933, la città si è “buttata” da questa parte. Lo ha fatto anche con case popolari, perché il porto dava lavoro e in quella zona c’erano molte industrie, con fabbriche, come la Manifattura Tabacchi (che ha chiuso nel 1995, ndr). Da qui esigenza di dare alloggi. Si vede perciò una Venezia trasformata in tal modo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.

In una zona apparentemente anonima come il circondario di piazzale Roma, la modernità ha portato anche delle cose originali e di pregio, anche grazie a grandi firme dell’architettura…

Certo, grandi nomi come Carlo Scarpa, Egle Trincanato o Giuseppe Samonà, in un certo senso incapsulati, perchè per esempio il palazzo del rio Nuovo è in effetti nei libri di architettura. Il tutto da l’idea di una Venezia che prova a ripensarsi anche nel dopoguerra e fino agli anni Sessanta, con tutte le difficoltà strutturali che ci sono, di una città con un centro storico isolato, che ben conosciamo e del quale ho anche scritto un libro (La grande Venezia del secolo breve, Cierre edizioni).

Sicuramente negli anni Trenta chi ha immaginato piazzale Roma pensava ad una modernizzazione molto più pesante. Per esempio l’ingegner  Eugenio Miozzi aveva in mente allacciamenti automobilistici sulla gronda nord, fino al Lido. D’altra parte “suo” il ponte della Libertà era stato concepito nel 1933 su quattro corsie, che corrisponderebbero ad otto di oggi. Non era  pensabile come un cul de sac, sicuramente all’epoca avevano in mente qualcosa di più, poi però la guerra e altre proprità, come l’acqua alta del 1966, fecero sì che si facessero scelte diverse.

Il palazzo di campo Manin

Palazzo Nervi-Scattolin in campo Manin

La modernità è arrivata però anche nel cuore di Venezia, pensiamo alla sede della banca in campo Manin, no?

Di modernità ce n’è in tutta Venezia, nel mio libro ho cercato appunto di metterle in evidenza. Per esempio casa Gardella alle Zattere, appunto la sede della Cassa di Risparmio negli anni Sessanta/ Settanta, per altro firmata dall’architetto Pierluigi Nervi, e ce ne sono altre che è bello scoprire, come i novecenteschi padiglioni della Biennale. C’è comunque un dato eloquente: l’80 per cento dei volumi del centro storico veneziano sono stati fatti dall’Ottocento in poi e questo dà la misura di come in realtà si sia fatto moltissimo. Soltanto che poi l’imprinting della città è tutt’altro, cioè quello che tutti conoscono e che attrae il visitatore.

Venendo ai giorni nostri, c’è chi dice che il tanto criticato ponte di Calatrava ha comunque fatto acquisire una sua dignità alla zona ed al palazzo delle Ferrovie, ce lo può spiegare?

Il vicino palazzo Compartimentale ha appunto una parte ottocentesca ed una razionalista, fatta a partire dal 1936, ma interrotto dalla guerra. Il nuovo ponte genera una prospettiva verso quel palazzo e ne evidenzia quindi l’eleganza delle colonne bianche. Il ponte di Calatrava ha avuto un anticipatore, nel senso che l’ingegner Miozzi l’aveva progettato nel 1933 praticamente nella stessa posizione ed il suo collega Cristoforo Sabbadino ne aveva progettato l’aggancio fra le due rive, il che aveva un senso, non era certo inutile.

Il palazzo della Ferrovia

Il palazzo compartimentale della Ferrovia dal ponte di Calatrava

Abbiamo parlato di passato, di modernità, dei giorni nostri col Calatrava; in prospettiva si potrà inserire qualcos’altro di nuovo dal punto di vista dell’architettura a Venezia?

Secondo me c’è tutta un’area, quella che sta al di là di piazzale Roma, la Marittima, che è totalmente vuota ed inerte. C’è ancora il mercato ittico, ci andranno altre installazioni, hanno fatto volumi per centri direzionali e di interscambio. Ma credo che lì si possa giocare una partita strategica, sempre che ci sia la volontà di farlo. Perché se vale la pena e se c’è una visione, va bene. Anche perché dalla parte opposta, sul fronte acqueo, in terraferma, occorre dare ulteriori spinte. C’è stato il parco di San Giuliano (dell’architetto Antonio di Mambro), ma è stato un episodio. L’area dei Pili resta totalmente lasciata a se stessa (ci sono le raffinerie). Occorrerebbe creare due fronti di vero riconoscimento urbano, simbolico, come è stato per certi versi proprio il parco di San Giuliano.

In questo senso ritiene che la bocciatura delle torri proposte da Pierre Cardin sia stata un’occasione sprecata per avere una nuova opera di architettura a Venezia?

Personalmente ero fra quelli che non si sono stracciati le vesti per la loro bocciatura. Non so quante gambe avrebbe avuto per camminare dal punto di vista burocratico. L’idea in sé però era interessante, di tanto in tanto serve “buttare” delle cose che provocano, innovano, perché oggi anche Porto Marghera è una landa lasciata a se stessa. C’è sì il Vega, ma per esempio il Palaexpo è isolato e inutile, come la già citata selva irriconoscibile dei Pili. Se si riesce infine ad immaginare che si potrebbe andare avanti col canal Salso fino a piazza Barche, come era durante la Serenissima, vuol dire proprio che si potrebbe sviluppare una visione complessiva e meno lacci e lacciuoli burocratici, che appesantiscono temi e costi.

L’architettura moderna a Venezia, scoprendo il Novecento con Carlo Rubini ultima modifica: 2019-06-15T10:50:37+02:00 da Gigi Fincato

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