“Non c’era proprio più niente da desiderare eran tre giorni che stavamo a preparare le due valige, i tre pacchi, la borsa, il cestino con Mammà.” cantava Nino Ferrer in una delle sue canzoni dedicata proprio a… Il Baccalà. Uno dei principi della tradizione culinaria italiana attraversa le nostre tavole da nord a sud. E in Veneto? Da noi sono due le ricette tradizionali: il ba(c)calà alla vicentina e quello mantecato. Quest’ultimo ingrediente prelibato di una varietà di cichetti in tutti i bacari. Quest’oggi però non vi vogliamo svelare la ricetta del baccalà, ma raccontarvi come è arrivato a Venezia!
Il baccalà
Partiamo dall’inizio. Il baccalà non è un pesce di laguna, né di altri mari italiani. Il suo nome deriva dalla parola tedesca bakkel-jau che significa “pesce salato” ma anche “duro come una corda“. E’ elemento essenziale di molte cucine popolari. Può essere utilizzato fresco o essiccato. Tanto il baccalà quanto lo stoccafisso, per essere utilizzabili, hanno bisogno di una lunga immersione in acqua fredda, che provvede a eliminare il sale in eccesso nel primo e a reidratare il secondo, restituendo ai tessuti l’originale consistenza.
Tra mito e leggenda
Il baccalà veneziano non è il merluzzo salato ma lo stoccafisso. Un merluzzo artico di origine norvegese conservato attraverso l’essiccazione con aria fredda. Da dove arriva? Sono molte le storie che riguardano il suo arrivo in laguna. Noi ci rifacciamo a “Nel segno del baccalà” scritto da Flavio Birri e Carla Coco. Il racconto ha come protagonista Pietro Querini, un mercante veneziano del Quattrocento. Partito da Candia, l’odierna isola di Creta, con una nave carica di malvasia, legni aromatici, spezie e cotone naufragò nei mari del nord Europa.
Parte del’equipaggio morì, parte raggiunse un isolotto, coperto di neve, deserto. L’isola di Røst. Sull’isola i naufraghi veneziani incontrarono i pescatori locali da cui trovarono ospitalità per tre mesi. Ben presto l’equipaggio assunse le abitudini dei pescatori del luogo scoprendo uno strano pesce molto pescato da quelle parti, chiamato stockfiss. Un pesce duro come legno che per essere mangiato doveva essere battuto.
Il ritorno a Venezia
Nel 1432 Pietro Querini tornò a Venezia. Qui oltre ad aver portato con sé lo stockfiss. Quello che colpì era che poteva essere conservato a lungo. A quei tempi, in cui conservare a lungo il cibo era difficile, il valore dello stoccafisso era altissimo. I veneziani non si lasciarono scappare l’occasione e iniziarono ad importare e commercializzare lo stoccafisso.
Ma allora perché si chiama Baccalà?
Incerta è invece l’origine del termine “baccalà” che in Veneto e Friuli è sinonimo di stoccafisso, ovvero merluzzo essiccato, mentre nel resto dell’Italia significa merluzzo salato. Si pensi derivi dallo spagnolo bacalao usato per la prima volta nei primi anni del ’500. Alcuni pensano che derivi dall’antico olandese kabeljauw oppure che abbia origine dall’etimo romanzo cabilh, capo, testa, ovvero pesce testuto. Altri ancora lo riferiscono al latino baculus e cioè bastone.