Gianfranco Manfredi e Patrizio Fariselli, un viaggio negli anni Settanta

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Gianfranco Manfredi e Patrizio Fariselli, un viaggio negli anni Settanta

Fariselli Manfredi

Parafrasando due loro album, si potrebbe dire che tornano gli arrabbiati. Ma non è una malattia. Apparentemente potrebbe sembrare uno strano duo, quello composto da Gianfranco Manfredi, cantautore impegnato e sceneggiatore di fumetti e da Patrizio Fariselli, componente degli Area ed ora pianista jazz. Ma l’incontro fra due artisti geniali da vita ad un originale spettacolo. Fra il racconto e le canzoni, che ha debuttato a livello nazionale alle porte di Venezia, a villa dei Leoni di Mira.

Gianfranco Manfredi: si può dire che al centro di questo spettacolo ci sia la parola “impegno”?

Siamo passati per tante stagioni. Era una cosa di cui si parlava molto negli anni degli intellettuali come Moravia. Noi non ne avevamo bisogno perché la parola voleva semplicemente etichettare l’intellettuale che viveva distaccato o organico al partito. Noi invece venivamo dalla condizione di studenti in formazione. Le manifestazioni del 1968 erano state anticipate da battaglie civili. Come quella contro la guerra del Vietnam o contro la pena di morte e da ragazzini in tv vedevamo i telefilm di fantascienza “Ai confini della realtà”, suoi pericoli dell’apocalisse nucleare, da cui le battaglie contro il nucleare. La nostra generazione, quella definita dei “Baby boomers”, era piccola negli anni Cinquanta, che erano anche anni restrittivi e moralisti, e poi pian piano abbiamo cominciato a liberarci da questa cappa, esistendo.

Il tuo modo di porti come cantautore è intriso di una forte ironia, non sempre presente nei tuoi colleghi, è così?

Sì, per esempio nel Sessantotto il Movimento era parecchio moralista, prima nella canzone italiana l’ironia c’era, ma più nel cabaret, in gruppi come i Gufi o Celentano, ma nella canzone di impegno politico si tendeva a un po’ a  sopire l’ironia, anche se c’erano cantanti come Giovanna Marini e altri che ripescavano cose dal repertorio popolare, dove c’erano anche canzoni divertenti, oltre naturalmente al grande ruolo avuto da Dario Fo. Quando però si cantavano le “canzoni di lotta” si scherzava poco.

Manfredi Fariselli

Gianfranco Manfredi durante l’intervista

Nel vostro spettacolo si parla anche di violenza e di terrorismo, in quegli anni per voi artisti c’era anche il peso di chi chiedeva musica gratis per tutti?

Per la verità il movimento per la musica gratuita era più che altro per entrare ai concerti senza pagare. Mentre per esempio si compravano tantissimi dischi, ma era anche una cosa in positivo. Per esempio io ho fatti tanti programmi nelle radio libere, dove passavamo i dischi per intero perché si potessero registrare, invitando a copiare, scavandoci però un po’ anche la fossa da soli, poiché lo facevamo anche con gli album incisi da noi. Ma questo era un tentativo di rendere più sociale la musica, dato che i concerti organizzati costavano molto. Oggi gli album si vendono sempre meno e diventa un po’ dura…

Un tuo compagno di avventura di quegli anni è stato Ricky Gianco, si può dire che non abbia raccolto tutto il successo che meritava il suo grande talento?

Sicuramente. Ricky Gianco poi mi ha insegnato tantissime cose, io fondamentalmente sono sempre stato uno scrittore, mentre lui è un notevole cantante, musicista e autore. Il problema è che negli anni in cui lui ha piazzato più pezzi, come “Pietre” o “Pugni chiusi”, lavorava generosamente più come autore per altri, anche grandi, come Celentano. Ma considerando la sua discografia ha fatto cose di qualità che nessun altro cantautore di quegli anni ha realizzato.

Altro termine usato nello spettacolo è “giovani”, categoria che oggi si è allungata nell’età, come mai?

Per certi versi c’è una gioventù che diventa una condanna. L’allungamento della vita fa sì che non ci si senta mai anziani, soprattutto facendo certi mestieri, come io che scrivo fumetti. Si resta a contatto con il mondo giovanile, rischiando di essere “sbarbati” a vita. Il che è anche fastidioso perché andando avanti si matura.

Finiamo con il futuro, cosa stai preparando come autore di fumetti?

Attualmente c’è una mia serie mensile in uscita per Bonelli (l’editore di Tex), che si chiama “Cani sciolti”, che è appunto la storia di un gruppo di ragazzi.

Manfredi Fariselli

Il pianista Patrizio Fariselli

Patrizio Fariselli: il tuo percorso musicale va dagli Area, passando per le colonne sonore, per arrivare al jazz acustico; lo ricordi anche in questo spettacolo, vero?

Ci siamo divertiti a ripercorrere gli anni della nostra gioventù con affetto ed in modo mitico, peccato che i nostri mitici vent’anni erano davvero mitici. E’ stato un secolo incredibile, sono stato estremamente fortunato a vivere quegli anni Settanta, quando il paese era ricco di fermenti e di creatività e gli Area hanno cavalcato fino in fondo lo sviluppo del Movimento.

Perché gli Area non erano molto classificabili musicalmente?

Per fortuna, bisogna sempre cercare di sfuggire ad ogni definizione, altrimenti si diventa prevedibili. Noi, nei limiti del possibile, abbiamo sempre cercato di spiazzare il pubblico.

Quanto manca alla musica un personaggio come il vostro cantante, Demetrio Stratos?

Non è bello morire a poco più di trent’anni e la beffa estrema è stata che Demetrio Stratos morì nel momento in cui la sua carriera stava per decollare a livello internazionale come performer di musica contemporanea.

Infine su cosa stai lavorando attualmente?

E’ appena uscito un mio nuovo album “100 ghosts”; per me si tratta di un lavoro importante e mi appresto a fare un tour promozionale con il gruppo.

Le foto sono di Marco Fincato.

Gianfranco Manfredi e Patrizio Fariselli, un viaggio negli anni Settanta ultima modifica: 2019-02-12T21:44:57+01:00 da Gigi Fincato

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