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MITI E LEGGENDE

La leggenda del Fornaretto di Venezia: una storia reale o di fantasia?

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Chi non ricorda – almeno per sommi capi – la vicenda del “Fornaretto di Venezia”, vittima di un colpevole errore giudiziario di una magistratura veneziana frettolosa e pilotata, immolato sul patibolo al posto del vero responsabile di un omicidio, e che una volta ristabilita la verità sarà ricordato nelle parole del segretario del Consiglio dei Dieci, che prima di riunirsi viene ammonito a ricordarsi “del poàro Fornareto”, affinché non si commettano più errori? Tutti o quasi tutti a Venezia l’abbiamo sentita raccontare, da bambini.

La storia del Fornaretto di Venezia

Piero Faccioli lavorava come garzone in un forno per il pane in calle de la Mandola. All’alba di una fredda mattina, ai primi di marzo del 1507, il giovane sta scendendo i gradini del ponte “dei assassini” quando si accorge di qualcosa di luccicante: è il fodero di un pugnale, tutto d’argento. Il Fornaretto è contento della sua fortuna, e ci tiene a fare vedere quello che ha raccolto alla morosa, Annella, che lavora come domestica nella vicina Ca’ Barbo. Ma la ragazza è spaventata: “Vai via, torna veloce dove l’hai preso – gli intima – e lascialo dove l’hai trovato”.

Piero è perplesso, ma obbedisce. Così, in lontananza, nell’angolo fra calle de la Verona e il ponte, scorge una persona distesa. “Un ubriaco” pensa il Fornaretto, ma ugualmente si china per sincerarsi che l’uomo non abbia bisogno di aiuto. Lo volta, e non gli ci vuole molto per rendersi conto che è morto. Piero appoggia le dita in quel rivolo rosso di fianco al cadavere: è sangue, non vino, e adesso si è macchiato anche la vestaglia bianca che usa in forno. Guarda meglio il viso del morto: è Alvise Guoro, giovane cugino e frequentatore assiduo di Clemenza Barbo, moglie di Lorenzo e padrona di Annella.

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Un innocente condannato

Poi tutto, in pochi istanti, precipita. Piero non sa cosa fare. Scappare significa riconoscere la propria colpevolezza, non andarsene è altrettanto pericoloso. Il giovane non fa a tempo a spiegare le proprie ragioni. Le guardie sono già lì, la macchina della giustizia si mette inesorabilmente in moto: il Fornaretto viene condannato a essere decapitato. La mattina del 22 marzo tutto è pronto per l’esecuzione, tra le colonne di Marco e Todaro: il giovane non pensa più da giorni a difendersi; ci ha pensato la “camera dei tormenti” a piegarne la volontà. Nello stesso momento da Ca’ Barbo parte un servo, a gambe levate. Lungo la strada urla l’innocenza del Fornaretto: messer Barbo ha confessato alla moglie l’omicidio del parente, perpetrato per gelosia. Ma non arriva in tempo per annunciare la notizia: il boia ha già assestato il colpo.

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La decapitazione era la pena capitale più diffusa in passato

Ma la verità…

La voce che Piero è innocente si diffonde con la velocità del fulmine. Il giorno seguente il Doge convoca i giudici, e lancia loro il monito che verrà ripetuto per secoli nelle aule giudiziarie. Tra le leggende, gli arcani, i misteri veneziani, nessuno ha colpito l’immaginario come la vicenda del Fornaretto, al punto che non si contano più i libri, i film, le edizioni cartacee che ne hanno amplificato il mito, ripreso poi anche dai fumetti e dalla musica.

Ebbene, “Il Fornaretto” non è mai esistito: è frutto della fantasia di Francesco dell’Ongaro, poeta e drammaturgo (nonché ex prete votato al Risorgimento), nato nel 1808 a Mansuè, nel trevigiano, che due anni prima di combattere nei moti del 1848 diede alle stampe un dramma di cinque atti con questo titolo, rappresentato con grande fortuna di pubblico fin dalla sua prima uscita. Forse proprio il fatto di essere stato trasposto in pellicola fin dai primordi del Cinema l’ha trasformato in una leggenda “vera”, e noi siamo tutti convinti che il Fornaretto sia realmente esistito.

La leggenda del Fornaretto di Venezia: una storia reale o di fantasia? ultima modifica: 2018-07-19T20:55:58+02:00 da Alberto Toso Fei

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