A Venezia attorno alle maschere si sviluppò presto un fiorente mercato, con professionalità specifiche. Le prime notizie sulle maschere e le scuole di mascareri, ovvero i fabbricanti, risalgono al 1271. Nella produzione si utilizzava argilla per il modello, gesso per il calco, cartapesta, colla di farina, garza e coloranti. I mascareri possedevano un loro statuto, varato il 10 aprile 1436. Erano aiutati dai targheteri, che dipingevano i volti sopra lo stucco. Nel 1773 esistevano ufficialmente 12 botteghe autorizzate di mascareri, nelle quali erano impiegate 31 persone.
Le maschere di Venezia, quelle vere
Tra le maschere più celebri del periodo di carnevale – a esclusione di quelle derivate dal Teatro della Commedia dell’Arte – vi è sicuramente la Bauta (considerata – con qualche ragione – la maschera veneziana per eccellenza). Connotata dal particolare volto bianco puntuto (che da solo si chiama larva), dal tricorno e dal velo nero che arriva a celare i capelli e le spalle, può essere vestita indifferentemente da uomini e donne. Questo genera un senso di ambiguità molto vicino all’androginia. La forma allungata sotto il naso è stata concepita, originariamente, per poter mangiare e bere senza avere la necessità di togliere la maschera. E davvero la Bauta è stata a lungo usata anche al di fuori dei periodi strettamente carnevaleschi, consentendo a nobili e popolani, stranieri e veneziani, cortigiane e monache (e al doge stesso…), di mescolarsi e di incontrarsi in una sorta di livellamento in cui tutte le età e tutti i ceti sociali erano rappresentati.
Un gioco di seduzione
Tra le maschere veneziane più conturbanti e seducenti primeggia poi la Moretta. Si trattava di un mascheramento tipicamente femminile, che compare peraltro in molti quadri di Pietro Longhi. Era una maschera ovale di velluto nero che copriva il volto della donna seguendone i lineamenti, ma con una particolarità. Era priva di bocca. O meglio, veniva sorretta tenendo stretto tra i denti un bottoncino di legno, impedendo dunque alla dama di proferire parola. Durante il Carnevale i Veneziani (e le Veneziane…) si concedevano trasgressioni di ogni tipo e la Moretta – così come la Bauta – era utilizzata per mantenere l’anonimato e consentire qualsiasi gioco proibito.
Il silenzio forzato cui erano costrette le donne che indossavano la Moretta era considerato un gioco di seduzione, visto che impedendo alle dame di esprimersi a parole poteva solamente scatenare una guerra di sguardi e ammiccamenti, evidentemente molto apprezzati dagli uomini, visto il successo che tale maschera riscuoteva.