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C’era una volta la peste, una mostra tra passato e presente

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Sei tappe per raccontare epidemie e pandemie a Venezia. Tappe che indagano sulle grandi pestilenze del passato, la loro storia e le loro rotte di propagazione, sulle origini e la trasmissione della malattia, sulle modalità per affrontarla, tra medicina e astrologia, paura e superstizione. C’era una volta la peste. Venezia e le misure di contenimento del morbo tra ‘500 e ‘600, aperta negli spazi della Biblioteca della Fondazione Querini Stampalia fino al prossimo 2 maggio, è un viaggio tra sedicesimo e diciassettesimo secolo al cospetto della Serenissima, che le testimonianze storiche ci dicono essere stata antesignana e molto lungimirante anche in questo campo. Intuendo per esempio, in modo del tutto empirico, che le epidemie si trasmettono anche attraverso il contatto e non solo con i miasmi. E che per arginare e far fronte al morbo, ai morbi, il modello di prevenzione principale è quello dell’isolamento. Parola di grande attualità anche a tanti secoli di distanza. Perché, nonostante la corsa ai vaccini e la ricerca su possibili terapie di cura, l’ isolamento di antica memoria resta ancora l’indicazione principale che ci viene fornita per far fronte al Covid-19, la pandemia di oggi.

La peste e le grandi epidemie del passato

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Una mostra (curata da Angela Munari) che racconta la storia e si aggancia al presente, ricca di rimandi e suggestioni, con riferimenti a tematiche che mai avremmo pensato di dover toccare con mano anche in questi giorni. Due furono le grandi epidemie di peste che segnarono la storia di Venezia, quella del 1675-77 e quella del 1630-31 ricordata anche da Manzoni nei Promessi Sposi. Senza dimenticare la peste nera del 1348. I documenti ci dicono che chi si ammalava presentava sintomi molti simili a quelli del Coronavirus, cioè importanti problemi respiratori. E quella pandemia, perché di pandemia si trattava in quanto colpì tutta l’Europa, si portò via circa un terzo della popolazione in meno di un decennio. Quasi tutti questi contagi arrivavano da Oriente (la peste del Trecento dalle aree himalayane) e si trasmettevano per zoonosi, cioè con il passaggio dall’animale all’uomo. Proprio come la pandemia dei nostri giorni.

Quando si pensava che la peste venisse da particolari congiunzioni astrali

In mostra volumi antichi, stampe, mappe che ripercorrono la storia delle grandi pestilenze del passato. Come si trasmetteva la malattia? All’epoca la medicina ufficiale era convinta che solo gli umori e i miasmi del corpo potessero contagiare, e quindi vediamo stampe originali (per esempio una del 1494) con l’immagine di un medico che tocca la mano del paziente senza alcuna protezione. A proteggerlo, attorno al letto del malato, solo ceste di incenso e di erbe aromatiche come la pimpinella considerata un’antipeste per eccellenza. O la teriaca, a base di pelle essiccata di vipera. In questo caso si pensava che il veleno del rettile avrebbe funzionato come antidoto. Un’idea, ma solo un’idea, di vaccino ante litteram.

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Tra medicina e astrologia, paura e superstizione, fino alla fine del Seicento si pensava che la diffusione della peste fosse legata a particolari congiunzioni astrali. E fino all’epoca illuministica e oltre si riteneva che gli stessi segni zodiacali avessero influenza su alcuni organi del nostro corpo: l’ariete sulla testa, il leone sul cuore…

La Serenissima antesignana nelle misure di prevenzione e di contenimento

Nonostante quel che diceva la medicina ufficiale, a Venezia c’era comunque una percezione empirica che anche il contatto con il contagiato potesse essere pericoloso e motivo di trasmissione. Ed è quindi già nel 1423 che si realizza in un’isola della laguna il primo lazzaretto, noto come Lazzaretto Vecchio, per l’isolamento di persone e cose che si ritenevano contagiate. In uso praticamente continuo perché, al di là delle grandi pandemie, in quei secoli la peste era endemica, Si spostava di città in città , di territorio in territorio senza mai scomparire. Il batterio verrà isolato solo nel 1894 dal microbiologo Alexandre Émile Jean Yersin e da lui prenderà il nome, Yersinia Pestis.

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La gestione sanitaria della Serenissima era moderna, attenta, organizzata, rivoluzionaria per l’epoca in cui veniva concepita. Nel 1468 si farà un altro lazzaretto, quello Nuovo. Il primo verrà destinato esclusivamente al ricovero degli ammalati di peste. Il secondo servirà alla prevenzione. Di questo parla un capitolo della mostra che ci illustra le forme di contenimento del morbo. Non solo la rete di lazzaretti ma anche le norme igieniche, i primi farmaci a base di erbe e spezie, i dispositivi di protezione individuale per i medici. Dalla celebre maschera con un becco allungato, alle vesti in tela nera cerata, ai guanti, agli appositi occhiali o agli occhi di cristallo. Ai bastoni a volte dotati di campanelli per farsi annunciare.

Tra sacro e profano, le preghiere nel tempio votivo e le barche addobbate in laguna

Voti e devozioni sono gli aspetti taumaturgici delle grandi epidemie. Due grandi (e straordinari per la loro bellezza) esempi in laguna rappresentano le testimonianze di questo racconto. La palladiana chiesa del Redentore alla Giudecca, tempio votivo dopo la peste del 1575. E il santuario in Punta della Dogana, del Longhena, dedicato alla Madonna della Salute. Anche questo venuto da un voto dopo la peste del 1630-31. Tra sacro e profano, alle cerimonie religiose si affiancano momenti decisamente meno spirituali, previsti da specifiche indicazioni del governo della Serenissima.

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In particolare per il Redentore. Si parla del ponte di barche, delle imbarcazioni che si riversano in laguna e che devono essere tutte addobbate, delle tavolate nelle calli… In breve questa festa diventa anche un’attrazione turistica, dando il via alla prima microindustria del turismo a Venezia. Nel tempo si arriverà addirittura, nell’Ottocento, ad un Festival della Canzone del Redentore. Inventato da un settimanale satirico in dialetto veneziano, andrà avanti per cinquant’anni e farà a gara con la canzone popolare partenopea.

C’era una volta la peste, una mostra tra passato e presente ultima modifica: 2021-03-04T08:30:00+01:00 da Cristina Campolonghi

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